Quando il batterio «mangia-plastica» entra in corsia: la scoperta dell’enzima Pap1
In ospedale Pseudomonas aeruginosa è già noto come un patogeno ostinato, capace di sfruttare ogni spiraglio per infettare pazienti fragili. Una nuova ricerca rivela un volto ancora più insidioso: questo batterio può degradare una plastica largamente utilizzata in dispositivi medici, la polycaprolactone (PCL). Il segreto risiede in un enzima battezzato Pap1, che "digerisce" il materiale trasformandolo in molecole più semplici. Comprendere il fenomeno è cruciale per la sicurezza dei pazienti e per la progettazione di biomateriali futuri.
Pseudomonas aeruginosa: un nemico già temuto
Appartiene al gruppo dei cosiddetti ESKAPEE (Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter spp.), batteri che sfuggono spesso agli antibiotici tradizionali.
Vive su superfici umide, tubature, cateteri e dispositivi respiratori; forma facilmente biofilm - comunità batteriche ricoperte da una matrice protettiva.
È responsabile di polmoniti, infezioni del sangue e ferite croniche, con tassi di mortalità elevati nei reparti di terapia intensiva.
Che cos'è la polycaprolactone (PCL)?
È una bioplastica biodegradabile e biocompatibile.
Viene impiegata in suture riassorbibili, stent, impianti ortopedici e bende avanzate perché si degrada lentamente nel corpo senza rilasciare sostanze tossiche.
La sua diffusione è cresciuta con la medicina rigenerativa e la stampa 3D di tessuti.
L'enzima Pap1: come funziona
I ricercatori hanno isolato P. aeruginosa da una ferita infetta.
Analizzando il genoma, hanno individuato il gene della Pap1.
Inserendo quel gene in Escherichia coli, il nuovo ospite ha iniziato a frammentare la PCL presente in piastre di agar e in piccole perle di plastica.
Quando il gene è stato eliminato dal batterio originale, la capacità di degradare PCL è scomparsa: prova che Pap1 è la chiave chimica del processo.
In sintesi: Pap1 taglia i legami della PCL in catene più corte - di fatto "masticando" la plastica.
Perché dovremmo preoccuparci
Dispositivi compromessi: Se un batterio presente nella ferita smantella la PCL di un punto di sutura o di uno stent, l'oggetto può perdere integrità prima del previsto, con rischio di riapertura della ferita o malfunzionamento dell'impianto.
Biofilm potenziato: Sulle superfici di PCL i ricercatori hanno visto un aumento di biofilm, che rende i batteri più resistenti agli antibiotici e alla risposta immunitaria.
Maggiore virulenza: In modelli animali (larve di Galleria mellonella) la presenza di un impianto in PCL ha reso l'infezione più letale. Al contrario, la versione del batterio priva di Pap1 ha mostrato lo stesso grado di danno con o senza plastica.
Altri batteri, stesso trucco?
L'analisi comparativa dei genomi suggerisce che anche altri membri del gruppo ESKAPEE possono possedere enzimi simili. Ciò spiega la loro persistenza nei reparti ospedalieri, dove cateteri, guanti e cannule spesso contengono materiali plastici.
Implicazioni per la medicina
Screening dei patogeni: I laboratori clinici potrebbero dover testare se i ceppi isolati degradano le plastiche dei dispositivi usati sul paziente.
Ripensare i biomateriali: Serviranno polimeri più resistenti or formulazioni ricoperte da strati antibatterici che impediscano l'adesione e il biofilm.
Controllo delle infezioni: Disinfettanti e procedure di sterilizzazione dovranno considerare la capacità di alcuni batteri di "nutrirsi" dei materiali che dovrebbero essere inerti.
Oltre l'ospedale: un potenziale alleato ecologico?
In un contesto diverso, l'abilità di Pap1 potrebbe essere sfruttata per riciclare rifiuti plastici biodegradabili. Ma il rischio di liberare o potenziare patogeni in ambiente è alto, quindi ogni applicazione industriale richiederà rigorose misure di biosicurezza.
Conclusioni
La scoperta di Pap1 in Pseudomonas aeruginosa cambia il modo in cui vediamo sia i materiali plastici in medicina sia il comportamento dei batteri ospedalieri. Non sono solo invasori invisibili; possono trasformare il nostro hardware sanitario in una fonte di nutrimento e protezione. Identificare, monitorare e neutralizzare queste capacità sarà essenziale per garantire la sicurezza dei pazienti e per progettare la prossima generazione di biomateriali.
Redigere la lista dei nemici è il primo passo per batterli: ora sappiamo che, tra loro, si nasconde anche un minuscolo "mangia-plastica".
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