Referendum su lavoro e cittadinanza: perché sono falliti e cosa ci insegnano
L'ultima tornata referendaria in Italia, svoltasi l'8 e 9 giugno 2025, si è conclusa con un nulla di fatto, sancendo il fallimento di tutti i quesiti proposti. Il motivo è legato alla mancata partecipazione dell'elettorato, che si è fermata al 29,9%, ben al di sotto della soglia del 50%+1 necessaria per rendere validi i risultati. I temi in gioco erano profondi e attuali, riguardando da un lato il mondo del lavoro e dall'altro il delicato tema della cittadinanza.
I quesiti referendari riguardavano in particolare la revisione delle norme sui contratti a termine, l'abolizione del salario minimo legale, la semplificazione delle procedure per ottenere la cittadinanza italiana e la modifica delle condizioni di accesso al reddito di cittadinanza. Argomenti complessi, che toccano milioni di cittadini e riflettono fratture sociali, economiche e culturali profonde.
Il dato più significativo non è tanto l'esito dei quesiti - che non sono stati scrutinati a causa dell'insufficiente affluenza - quanto la disaffezione crescente verso lo strumento referendario. In passato, i referendum abrogativi rappresentavano un forte mezzo di espressione popolare. Oggi, invece, sembrano faticare a mobilitare l'interesse collettivo, soprattutto in assenza di campagne di informazione capillari e trasversali.
Il caso del salario minimo è emblematico. Si trattava di un tema molto dibattuto negli ultimi anni, specialmente in relazione al lavoro povero e alla necessità di garantire condizioni minime di dignità economica. Eppure, la scarsa partecipazione suggerisce che una parte consistente della popolazione non ha percepito il referendum come uno strumento efficace per incidere sul problema o, peggio ancora, non ne ha compreso fino in fondo le implicazioni.
Anche il quesito sulla cittadinanza facilitata per i figli di immigrati nati in Italia aveva un peso politico e simbolico rilevante. Ma le divisioni ideologiche e il timore di strumentalizzazioni hanno impedito un dibattito chiaro, contribuendo alla disillusione dell'elettorato. Lo stesso vale per le modifiche proposte al reddito di cittadinanza, da tempo al centro del confronto politico nazionale.
Dietro la scarsa affluenza si celano motivazioni molteplici: sfiducia nelle istituzioni, scarsa chiarezza sui contenuti, percezione di inutilità dello strumento referendario, assenza di leadership unificanti capaci di aggregare consensi trasversali. La crisi di partecipazione evidenzia una frattura democratica che pone interrogativi sulla qualità del rapporto tra cittadini e Stato.
Inoltre, va sottolineato che l'organizzazione del voto è stata penalizzata da una campagna informativa frammentata, con pochi confronti pubblici e una comunicazione spesso affidata ai social network, dove il dibattito ha assunto toni polarizzati, contribuendo a generare confusione anziché chiarezza.
Il fallimento dei referendum 2025 rappresenta dunque un campanello d'allarme per la democrazia partecipativa in Italia. Non è sufficiente proporre quesiti su temi sensibili: serve una strategia di coinvolgimento, una narrazione chiara, un lavoro culturale e pedagogico che renda i cittadini davvero consapevoli e protagonisti.
Rilanciare il ruolo del referendum significa anche ripensare alla forma, ai tempi, agli strumenti comunicativi e ai canali di partecipazione. Solo così sarà possibile restituire senso e forza a uno degli strumenti fondamentali della nostra Costituzione repubblicana.

