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Milioni di tonnellate di nanoplastiche stanno invadendo gli oceani

Quando si parla di inquinamento da plastica, l'immaginario collettivo evoca bottiglie abbandonate sulle spiagge o reti da pesca alla deriva. Ma esiste un pericolo ben più subdolo che sfugge all'occhio umano: la nanoplastica, frammenti di materiale plastico dalle dimensioni inferiori a un micrometro, capaci di penetrare le cellule viventi e di diffondersi lungo tutta la catena alimentare marina.

Una presenza massiccia e diffusa

Una recente campagna di campionamento nel Nord Atlantico ha svelato la portata di questo inquinante. I ricercatori, prelevando acqua a tre diverse profondità in dodici punti dell'oceano - dalla piattaforma continentale europea al cuore del vortice subtropicale - hanno rilevato concentrazioni medie di circa 18 milligrammi di nanoplastica per metro cubo. Proiettando questo dato solo sullo strato superficiale dell'Atlantico temperato-subtropicale si arriva a 27 milioni di tonnellate di particelle, un quantitativo che supera di gran lunga le stime di tutta la plastica galleggiante (esclusa la componente nano) negli oceani mondiali.

Composizione e comportamento anomalo

Nei campioni dominano tre polimeri: polietilene tereftalato (PET), polistirene (PS) e polivinilcloruro (PVC). Sorprendentemente, il più comune polietilene (PE) risulta quasi assente, segno che potrebbe degradarsi più rapidamente o sprofondare in fondo al mare. A differenza dei microframmenti più grandi, la nanoplastica non è governata dalla gravità ma dal moto browniano: le particelle restano in sospensione e si distribuiscono in tutta la colonna d'acqua, rendendo impossibile circoscrivere la contaminazione.

Tecnica di rilevamento avanzata

Per individuare tali particelle minuscole, i ricercatori hanno impiegato la termodesorbimento con spettrometria di massa a trasferimento di protoni (TD-PTR-MS). Ogni campione da 10 millilitri è stato filtrato per rimuovere i microplastiche, quindi riscaldato lentamente per distinguere la firma chimica dei vari polimeri. È un procedimento complesso ma essenziale per identificare l'inquinante più elusivo mai studiato negli oceani.

Impatti ecologici e sanitari

La capacità delle nanoplastiche di attraversare le membrane cellulari è il loro aspetto più allarmante. Possono entrare nel fitoplancton - base della catena alimentare marina - e risalire verso pesci e, infine, esseri umani. Studi precedenti hanno già individuato plastica a scala nano nei tessuti cerebrali e nella placenta umana. Queste particelle possono innescare stress ossidativo, infiammazioni e interferenze ormonali, con effetti potenzialmente gravi ma ancora poco compresi.

Perché dovremmo preoccuparci?

Gli esperti avvertono che la nanoplastica, per tossicità e ubiquità, rappresenta probabilmente la frazione di plastica più pericolosa per la vita marina e per la salute umana. A differenza di sacchetti e bottiglie, questi frammenti sono invisibili e sfuggono ai sistemi di filtraggio naturali e artificiali, accumulandosi in ogni ecosistema del pianeta.

Soluzioni possibili: chiudere il rubinetto

La comunità scientifica concorda: la prima difesa è ridurre la produzione di plastica alla fonte. La prossima tornata negoziale dell'ONU per un trattato globale vincolante sul plastica metterà sul tavolo il tetto alla produzione, sebbene alcuni Paesi esportatori di petrolio e gas si oppongano. Nel frattempo servono:

  1. Economia circolare - Incentivi al riuso e al riciclo di alta qualità.

  2. Materiali alternativi - Sviluppo di biopolimeri realmente biodegradabili.

  3. Filtri avanzati - Impianti di trattamento delle acque capaci di intercettare particelle sotto il micrometro.

  4. Monitoraggio continuo - Reti globali di sorveglianza che rilevino in tempo reale la presenza di nanoplastiche.

Conclusioni

La scoperta di milioni di tonnellate di nanoplastiche nei nostri oceani è un campanello d'allarme. La loro capacità di infiltrarsi in ogni organismo vivente e di persistere nell'ambiente impone un cambio di paradigma: non bastano più gli sforzi di pulizia delle spiagge o il riciclo di superficie. Occorre affrontare il problema alla radice, limitando drasticamente la produzione di plastica e investendo in soluzioni innovative. Solo così potremo salvaguardare la salute degli oceani - e la nostra - da un inquinante tanto invisibile quanto letale.
FONTE

Di Gaetano

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