Israele verso l’annessione totale: tensione alle stelle in Cisgiordania e scontro politico sulla proposta di pace
Nelle ultime ore, il conflitto israelo-palestinese ha conosciuto un nuovo, drammatico capitolo. Il ministro della Difesa israeliano, in una dichiarazione pubblica, ha affermato l'intenzione di "costruire lo Stato ebraico israeliano" anche in Cisgiordania, definendo "carta straccia" ogni proposta internazionale che contempli la nascita di uno Stato palestinese.
Questa affermazione rappresenta un punto di rottura con le precedenti linee diplomatiche, sia di Israele sia delle grandi potenze occidentali, che per decenni hanno sostenuto la cosiddetta "soluzione dei due Stati" come unico scenario realistico per la pace duratura nella regione. Il ministro ha sottolineato che, secondo il governo in carica, non esistono più le condizioni per una coesistenza tra due entità sovrane nei territori oggi contesi.
Il contesto: Cisgiordania e colonie israeliane
La Cisgiordania, territorio abitato in prevalenza da palestinesi ma controllato in parte da coloni israeliani, è da anni epicentro di violenze, scontri, e insediamenti illegali. L'espansione progressiva delle colonie ha eroso il tessuto sociale e politico palestinese, creando un clima di tensione permanente e sfiducia reciproca.
Dichiarare ufficialmente la volontà di annettere questi territori al "grande Israele", come suggerito implicitamente dalle parole del ministro, significa aprire la porta a un'escalation che potrebbe mettere in pericolo la stabilità non solo locale, ma anche dell'intero Medio Oriente.
La proposta di cessate il fuoco e la risposta di Hamas
In parallelo con queste dichiarazioni, il primo ministro Netanyahu ha annunciato di aver accettato una nuova proposta di cessate il fuoco, presentata da mediatori internazionali. Tale proposta prevede una tregua di sei settimane, la liberazione progressiva di ostaggi israeliani detenuti nella Striscia di Gaza, e un parziale allentamento del blocco militare sull'enclave.
Tuttavia, il movimento Hamas, che controlla politicamente e militarmente Gaza, ha giudicato la proposta insufficiente e squilibrata, sottolineando che qualsiasi tregua dovrebbe partire da un cessate il fuoco permanente, dal ritiro delle truppe israeliane e dalla fine dell'assedio.
Secondo fonti interne, Hamas teme che una tregua a tempo possa trasformarsi in una trappola politica e militare, utile solo a guadagnare tempo per Tel Aviv e a consolidare l'occupazione in Cisgiordania.
La posizione della comunità internazionale
L'annuncio del ministro della Difesa israeliano ha provocato forti reazioni tra i principali attori della diplomazia globale. Le cancellerie europee, insieme alle Nazioni Unite, hanno espresso profonda preoccupazione per la deriva unilaterale del governo israeliano, giudicando pericoloso e potenzialmente illegittimo il piano di annessione dei territori palestinesi.
Gli Stati Uniti, da sempre storici alleati di Israele, si trovano in una posizione difficile. Pur sostenendo la sicurezza dello Stato ebraico, l'amministrazione americana ha più volte ribadito il proprio appoggio a una soluzione negoziata e al riconoscimento di uno Stato palestinese sovrano e democratico.
In molti osservatori cresce la consapevolezza che ogni ulteriore passo verso l'annessione definitiva della Cisgiordania renderà impossibile qualsiasi futuro negoziato serio e rischierà di alimentare nuovi cicli di violenza.
Un futuro sempre più incerto
Il rischio maggiore, in questo momento, è che la tensione già altissima possa sfociare in una nuova intifada, ovvero una rivolta di massa nei territori palestinesi. I segnali di disagio e protesta si moltiplicano, soprattutto tra le fasce più giovani, che vivono da anni una realtà fatta di disoccupazione, controlli militari, assenza di prospettive, e discriminazione sistemica.
La politica israeliana, sempre più orientata verso un nazionalismo esplicito, appare oggi lontana da ogni ipotesi di compromesso. L'identità ebraica dello Stato viene usata come giustificazione per politiche di esclusione etnica, creando una frattura insanabile con il popolo palestinese.
Sul fronte opposto, i gruppi armati palestinesi, privi di una strategia diplomatica efficace e indeboliti da divisioni interne, rispondono spesso con violenza e retorica ideologica, alimentando la spirale di conflitto.

