Il Dottorato in crisi? Quando i PhD superano le opportunità accademiche
L'esplosione del numero di dottori di ricerca nel mondo sta creando uno squilibrio sempre più evidente: le posizioni accademiche disponibili non riescono a tenere il passo con l'aumento dei laureati. Una situazione che solleva interrogativi fondamentali sul ruolo attuale del titolo di dottore di ricerca e sulla sua reale utilità nel mercato del lavoro contemporaneo.
Un percorso che non porta più solo all'università
Tradizionalmente, il PhD rappresentava un trampolino di lancio verso la carriera accademica. Ma oggi, in molti Paesi, questa connessione appare sempre più debole. La maggior parte dei dottori di ricerca si ritrova infatti a lavorare fuori dal mondo universitario, spesso in ambiti non legati né alla ricerca né alla propria specializzazione disciplinare.
In Cina, ad esempio, si è passati da circa 300.000 studenti di dottorato nel 2013 a oltre 600.000 nel 2023. Lo stesso trend si osserva in India, dove l'aumento è trainato dalla crescente disponibilità di laureati magistrali e dall'idea diffusa che un titolo di studio avanzato garantisca migliori opportunità economiche e sociali.
Troppi dottori, poche cattedre
Il problema, però, è che il mondo accademico non si sta espandendo alla stessa velocità. Il numero di posizioni per ricercatori, docenti e scienziati non è sufficiente a offrire sbocchi professionali a tutti. Questo crea una concorrenza feroce e una crescente frustrazione tra chi ha investito anni in un percorso altamente specializzato con aspettative spesso non realistiche.
Secondo una ricerca del 2023 condotta nel Regno Unito, oltre due terzi dei dottori di ricerca erano occupati al di fuori del mondo universitario. E sebbene molti abbiano trovato lavoro, non sempre si tratta di occupazioni coerenti con il percorso svolto, né con il livello di qualificazione acquisita. In Sudafrica, il 18% dei PhD intervistati ha dichiarato di aver faticato a trovare un lavoro attinente, sentendosi spesso sovraqualificati e sottovalutati.
Soddisfatti, ma a quale prezzo?
Nonostante le difficoltà, la soddisfazione lavorativa dei dottori di ricerca è ancora relativamente alta: oltre il 90% degli intervistati nel Regno Unito si è detto contento della propria carriera. Tuttavia, a determinare questo dato vi è una forte disparità tra discipline. I laureati in scienze e tecnologie trovano con più facilità impieghi legati alla ricerca, mentre chi proviene da scienze sociali, arte e lettere è spesso costretto ad adattarsi a ruoli meno specializzati o lontani dal proprio campo.
Ciò solleva un'ulteriore domanda: vale ancora la pena fare un dottorato? In molte discipline, chi possiede un master guadagna quanto — o perfino più — di un dottore di ricerca. In settori come il diritto, l'economia o il management, i PhD vengono pagati meno dei laureati magistrali, specie se si tiene conto degli anni di esperienza lavorativa accumulati dai secondi nel frattempo.
Riformare il dottorato per il mondo reale
Secondo numerosi esperti, è urgente ripensare il senso e la struttura del dottorato di ricerca. Alcuni Paesi, come Giappone, Germania e Regno Unito, hanno avviato programmi di riforma: inserimento di tirocini pagati, formazione in competenze trasversali, e persino dottorati industriali, in cui la ricerca viene svolta in azienda. Tuttavia, resta ancora molto da fare per rendere il percorso più flessibile, adattabile e connesso con il mercato del lavoro.
Il punto centrale è che i PhD non devono più essere formati soltanto per diventare docenti universitari. Le competenze che acquisiscono — pensiero critico, analisi avanzata, capacità di innovare — sono altamente richieste in numerosi settori, ma devono essere valorizzate e sviluppate in funzione di un mercato del lavoro molto più ampio.
Un nuovo modello di alta formazione
Il cambiamento non può essere affidato solo agli studenti. Sono le università a dover aggiornare i loro programmi, investire in orientamento professionale, creare partnership con il settore privato e offrire percorsi dottorali differenziati. Solo così sarà possibile mantenere vivo il valore culturale e scientifico del dottorato, senza trasformarlo in una promessa mancata.
In un mondo che cambia rapidamente, il dottorato deve evolvere da titolo per pochi eletti a strumento flessibile di formazione avanzata, utile a tutti i settori produttivi della società. Non si tratta di ridurne il numero, ma di ripensarne la missione: preparare figure professionali adatte non solo all'accademia, ma anche — e forse soprattutto — al mondo reale.
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